eXPerience rock report

eXPerience rock report

«C’è un tempo che non si misura, o forse è il tempo tutto che non si può misurare. Se i filosofi ancora riflettono a una sua definizione, di certo non posso riuscire a dagliela io. Diciamo che il tempo è una dimensione.
Solo l’ultimo giorno ci ho riflettuto. Fino a quel momento era come se il tempo, quello che misuriamo ogni giorno con l’orologio, fosse sparito.
Meglio, era come se scorresse in un altro modo: nell’erba che mano a mano s’asciugava, nel sole che diventava più caldo, oppure nello scorcio di valle che cambiava colore.
Il nostro tempo nasceva nell’entusiasmo della mattina presto e finiva la sera nella stanchezza, nella fame, nel dolore alle gambe e nel mistero. Mistero sul giorno dopo, sul futuro. Su ciò che avremmo fatto l’indomani.
Nel vallone di Unghiasse non ci sono guide, settori, gradi o righe di magnesite. C’e’ una distesa d’erba di 2 chilometri che a poco a poco lascia spazio alla roccia. Dal masso sul quale sedersi la sera a quello che, dalla cima, ci mostrava in prospettiva la valle, tutto era pietra nella quale perdersi. Pietra brutta, pietra coperta di lichene, pietra bella, pietra bassa, pietra piatta, pietra alta, pietra, pietra, pietra…
In mezzo a tanta pietra ci siamo sentiti inadeguati, disorientati e deboli, incapaci di salire su un sasso, incapaci persino di cadere sui rododendri che ci inghiottivano a ogni passo.
Forse non eravamo all’altezza di fare quello per cui eravamo lì: trovare una pietra su cui salire. Cosa c’era di sbagliato? Cosa cercavano e non riuscivano a trovare le braccia e le dita?
Cercavano quello che fino a ieri avevano toccato. Cercavano gradi, difficoltà, come lo sguardo cerca l’orologio al polso per sapere che ora è. E mentre misuravamo la fatica degli avambracci per la gloria di uno sforzo al limite, nell’ombra, fra l’erba che si asciugava piano piano, centinaia di “linee” attendevano un po’ di magnesite che le disegnasse. Ci è voluto almeno un giorno intero, un giorno di tempo “vero”, per capire che l’unica cosa da fare era liberare l’istinto e, finalmente, scalare. Il resto è solo cronaca…» (Marzio Nardi)

 

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