La straordinaria richiodatura di Hotel Supramonte

La straordinaria richiodatura di Hotel Supramonte

Si dice che i capolavori siano immortali e travalichino il tempo, ma evidentemente non è così e soffrono anche loro di invecchiamento. Cosa penserebbe Leonardo da Vinci se, ancora in vita, avesse visto qualche crepa aprirsi sulla sua Gioconda? Avrebbe cercato di rimediare o l’avrebbe lasciata al suo destino?
Così, scusate se il paragone è un po’ azzardato, anche Rolando Larcher, celebre co-autore di una delle vie più famose e belle del mondo, Hotel Supramonte nelle Gole di Gorroppu della Sardegna, aveva aggrottato le ciglia nell’apprendere che molte delle placchette che aveva utilizzato per la sua più celebre via, da tutti considerata un capolavoro, si erano ben presto arrugginite, trattandosi di materiale zincato.
Durante la sua rotpuntk del maggio 1995, quando volentieri l’avevo accompagnato (come già nel secondo e terzo tiro di apertura della via), il materiale sembrava ancora reggere ma, negli ultimi tempi, si erano moltiplicate le segnalazioni dei ripetitori che si erano limitate ad un laconico “il materiale non è molto bello…” Così, già nel 2009, per i 10 anni della via, Rolando avrebbe voluto festeggiare con una completa richiodatura inox ma tra il dire e il fare… insomma non era facile pianificare un lavoro di questa mole in tempi brevi e soprattutto trovare un compagno disposto a farsi un mazzo tanto per una via nemmeno “sua”! Rolando infatti ritiene che poche vie come Hotel siano difficili da rinchiodare, sia per il luogo dove sono poste, sia per quanto strapiombano… Ma nel 2010, finalmente, Rolando trova una sponsorizzazione dalla Petzl e trova anche un compagno, suo cognato Michele. I due pianificano di arrivare in cima alla via e calarsi ma, come si sa, Hotel non finisce sulla cima della parete ma su una cresta di un contrafforte accidentato, a 200 metri dalla cima vera… Dopo un’ora di trekking sono sulla cima ma Michele si infortuna ad una gamba e non riesce a proseguire. Nascondono tutto l’acciaio (pesantissimo) in un buco e ripiegano a malincuore verso casa. Passa una stagione ma Rolando, sempre più determinato all’idea, non riesce a ritornare. Finchè il sottoscritto aderisce al progetto (d’altra parte dopo aver partecipato all’apertura, alla rotpuntk, mi mancava solo la richiodatura!). E’ ottobre e le giornate son brevi, solo 12 ore di luce: non c’è tempo da perdere! Il primo giorno arriviamo sulla cima alle 8, dopo un’ora e mezza di avvicinamento, ma la crestina ci impegna per ben 4 ore di arrampicata con gli zaini pesantissimi, prima di riuscire a raggiungere l’ultima sosta della via. Dopo 5 ore di lavoro condotto con il massimo perfezionismo possibile e grazie ad un vecchio Ryobi a motore, Rolando richioda gli ultimi 6 tiri. Mancano ora i primi 5 tiri, i più strapiombanti della via, ma è già notte. L’unico modo per andare a dormire a casa e non bivaccare appesi è unire le due mezze corde da 60 e fare una calata di 120 m nel vuoto con passaggio del nodo. Una cosa da paura ma necessaria…
L’indomani, prima dell’alba, siamo nuovamente alla fissa che sembra un chewing-gum ma ci tocca risalirla, con un po’ di patemi e fatica. Per la richiodatura dei primi 5 tiri occorrono altre 8 ore, di fatica per Rolly e di attese interminabili appeso alle soste intervallate da pendoli mostruosi da parte mia per togliere i rinvii in corda doppia, il tutto sempre con l’assillo del buio e dell’aereo di Rolly che sta partendo.

Alla fine, alle 17, posto l’ultimo spit e rimessi i piedi in terra, un abbraccio, questa volta non per l’ennesima via nuova insieme ma per il restauro di un capolavoro, che non è di Rolando o di Roberto, i due mitici apritori, ma un po’ di tutti. Contribuire a restaurarlo non è stata per me solo una questione di amicizia, ma anche un onore…
Hotel non ha fatto forse la storia dell’alpinismo come il Pesce in Marmolada, ma quella dell’arrampicata sportiva su vie di più tiri sicuramente si. Una via visionaria e bellissima, in un luogo stupendo, dove ogni spit messo è costato sudore, coraggio e fatica, rispettando la più rigida etica di apertura dal basso. Per questo Rolando ha deciso di non cambiare assolutamente la posizione di nessun spit, sostituendo solo il materiale, spezzando quello vecchio e stuccando con la sika i vecchi fori. Un ulteriore lavoro da maestro!
Dietro le quinte (di Maurizio Oviglia)
Diciamocelo, e’ stato un mazzo allucinante. Martedì siamo andati a tentare la nuova via di Vigiani al Giradili, ma pioveva a dirotto. Abbiamo fatto due tiri al riparo dagli strapiombi con tuoni e fulmini intorno ma poi abbiamo dovuto ripiegare, il seguito era bagnato fradicio. Ci restavano due giorni per il progetto di richiodare Hotel Supramonte a cui Rolando stava pensando da tre anni, avrebbe voluto farla per il decennale, ed era una cosa che voleva fare a qualunque costo… Mercoledì siamo partiti alle 7 da Genna Silana e dopo il trekking con 15 kg sulle spalle sino sulla cima di Punta Cocuttos abbiamo iniziato a scendere la cresta di roccia delicata. Qui Rolando aveva nascosto i fix e catene due anni fa. Ed i kg sulle spalle son diventati 25, considerati gli 80 fix più soste inox a catena strabelle. Scendere la cresta di conserva, passaggi di III e IV è stato un casino, e anche un po’ rischioso se devo dirla tutta, dato che ai lati avevamo 500 metri di aria e ci muovevamo sul lichene ancora bagnato dalla pioggia. A volte il secondo di cordata faceva due giri con gli zaini. Alla fine due doppie laboriose e siamo arrivati al termine della via alle 12. Un panino e via! Rolando ha iniziato a cambiare i fix sostituendoli con fix inox petzl da 12 mm. dopodichè con un attrezzo spaccava il moncone e lo copriva di resina sikadur 31, miscelata al momento. Un lavoro da restauratore perfetto. Ha voluto fare tutto il lavoro lui, col ryobi a motore, mentre io attendevo ore alle soste calandolo poco a poco, poi facevo le manovre di doppia e portavo giù i sacconi. Alle 5,30 eravamo ancora al quinto tiro, la via ne ha 11, e non volendo bivaccare appesi come salami l’unico modo da scendere era giuntare due mezze e fare una calata da 120 mt nel vuoto verso la parte opposta della gola. Così abbiamo fatto ma il passaggio del nodo valeva da solo un esame di istruttore super-mega-CAI!!! Io l’ho fatto al buio, con Rolando che da sotto mi diceva fai così ed io facevo di testa mia, quindi valeva forse di più? :)) Le mezze si allungavano paurosamente e non vi dico, fortuna che era buio pesto!
Di notte siamo tornati al Ponte Sa Barva ma la macchina l’avevamo a Genna Silana!! C’eravamo messi d’accordo con un amico di Rolando che ci aveva detto due giorni prima che ci sarebbe venuto a prendere, ma lì non c’era nè rispondeva al cellulare! L’indomani ci dirà candidamente che “se n’era dimenticato!”. L’unica anima viva eran due tedeschi che abbiamo supplicato di portarci a Silana, 45 minuti di macchina, dicendo che lui era Larcher (quello di Hotel Supramonte) e io Oviglia (quello delle guide)…come da buoni italiani per cui il nome varrà ben qualcosa…e alla fine incredibilmente ha funzionato si sono impietositi e uno dei due ha mollato i fornelli e la minestra e ci ha accompagnato. Ovviamente tutto il materiale e le corde erano rimasti alla quinta sosta. Rolando la sera aveva l’aereo alle 22 da Cagliari quindi l’unico modo per almeno tentare di finire era…svegliarci alle 3!

Così abbiamo fatto e siamo tornati al Ponte Sa Barva tra una cosa e l’altra alle 5. Altro trekking con le frontali di 1 ora e mezza sino a Hotel. Rolando ha risalto le mezze con i jumar e mi ha detto che aveva paura, una delle prime volte nella sua vita. Evviva, che dovevo pensare io lì sotto, aspettando il mio turno tra mille neri presagi? Avevo dimenticato nella fretta i jumar, ma che vuoi che sia, mi son detto, risalirò col il lift ed il gri-gri. Con la frontale e con la foga di fare tutto bene ho commesso però un grave errore che mi è costato caro, pensando erroneamente di avere le jumar… così mi sono lasciato appeso alla corda lo zaino da 15 kg, in modo da evitare che si incastrasse negli alberi. In ritardo ho realizzato di non riuscire a recuperare il gri-gri perchè la corda sotto era tesa e neanche più ad appoggiare lo zaino, dato che oramai ero nel vuoto, sospeso sulle gole! Ci eravamo infatti lasciati andare da un pulpito sospeso dalla parte opposta della parete. Imprecando e ondeggiando da paura nel vuoto assoluto, 20 cm alla volta e con una fatica immane, ho risalito i 120 m con pure passaggio del nodo a metà e zaino attaccato… E quello scriccolio sinistro della corda nel gri gri mentre sai, mentalmente, che sei solo su quello. Ma non eravamo che all’inizio!

Alla sosta del quinto tiro, alle 8,30, Rolly inizia a chiodare, io passo dai 3000 gradi interni di quando sono arrivato al morire di freddo nel vento. Lo calo io e lui passa la sua corda nei rinvii mano a mano. Ogni chiodo per lui son ricordi che riaffiorano alla mente e commenta le posizioni impossibili per metterli, i tentativi, i voli, la libera, la frustrazione, la gioia. Ad un certo punto ce n’è uno con uno slungo di due metri, una sciarpa come si dice in gergo, e gli chiedo se non è il caso forse di spostarlo, considerato l’angolo. Scherzi? Mi rimprovera. Questa è storia! Sai come si è messo Roberto per piazzare questo? Incastrato nella nicchia strapiombante, senza cliff, trapanando dietro la schiena!! Tutto qui trabocca di storia, ma una storia forse troppo recente per contare qualcosa nel nostro obsoleto ambiente alpinistico. E quelli in grado di venire a vedere, son sempre meno di quelli provvisti di penna o di lingua…

Ora Hotel inizia a strapiombare di brutto, circa 10 metri a tiro, e pure in traverso. Chioda due tiri di seguito, ci mette tre ore, è distrutto ma non si ferma, una catena di montaggio: avviare il trapano, fare il foro, mettere il nuovo spit, caricarlo, stringerlo, svitare il vecchio, spaccare il tassello, batterlo dentro, stuccare. Lui fatica, suda, impreca, io son fermo e conosco ormai ogni crispolino della parete per averlo fissato per ore… poi finalmente scendo in doppia coi sacconi attaccati, ma togliere i rinvii passati è un delirio. Ogni volta vado in fuori lateralmente dieci metri nel vuoto e devo riportarmi alla parete a forza di braccia, con venticinque kg di due sacconi che mi trascinano verso il basso. Alla fine il pendolo in fuori è di 20 metri. Solitamente in questi casi Rolando mi prende per il culo, ora non ha più la forza di fare nemmeno quello, con una mano mi tira contro e con l’altra mangia la barretta per racimolare un po’ di forze… Arrivo sfinito, I tiri sotto vanno leggermente meglio e mettiamo piede a terra alle 17. Corsa con altri 20 kg a testa (tutto il ferraccio tolto, corde, trapano etc) alle macchine. Oggi faccio fatica a stare in piedi, posso solo scrivere.

Hotel comunque è una delle vie sportive più belle del mondo, se non la più bella, e valeva questa fatica! Non solo per amicizia, ma proprio per dovere morale al capolavoro qual’è! Le placchette zincate del 98/99 erano ormai marce, quella sotto l’obbligatorio di 7c, piegata dai voli, l’ha voluta tenere Rolando. Andrà a far compagnia nel suo salotto vicino alle katana utilizzate per la rotpunk, mai più usate, e l’imbrago di Roberto Bassi. (Rolando Larcher)